Ammazzate Beppe Alfano

Conoscevo Beppe Alfano come morto ammazzato dalla mafia. So chi è la figlia, Sonia, che da anni porta avanti le battaglie del padre, fino ad essere una più che decente europarlamentare; attualmente presidente della commisione antimafia europea, eletta con IdV. Di tanto in tanto seguo il suo blog. Ma no, non sapevo altro.
Poco male? No, molto male.
Perché la storia di questo free-lance (già: non era iscritto al sacro ordine degli scribacchini, manco come pubblicista/manovalante) ha intersecato la mia, molto di più di quanto non avessi potuto immaginare.
Tra le tante inchieste di cui si “impiccia”, nella seconda metà del 1992 si imbatte nel malaffare dell’Aias (Associazione Italiana Assistenza Spastici) di Milazzo, esempio superlativo di quel connubio fra mafia, politica e affari – di qualsiasi tipo: dall’edilizia, all’industria, al commercio e fino al terzo settore come in questo caso – che è linfa vitale e letale dell’economia e della società siciliana.
Da quella inchiesta, o meglio dall’omicidio di Beppe Alfano che la stava portando avanti, la magistratura ha preso l’avvio con l’indagare tutte le “sette sorelle”, imbattendosi tra le altre nell’Aias di ….sì insoma quella che era allora il datore di lavoro di mia mamma. L’articolo del giornale I Siciliani nuovi dal titolo Aias Connection è uno dei migliori riferimenti disponibili in rete.
E’ in quell’occasione che faccio conoscenza in maniera diretta con concetti fino ad allora astratti come cassa integrazione, mobilità; è allora che realizzo cosa significhino veramente dignità lavorativa, perdita del lavoro e depressione.
L’inchiesta giudiziaria scoperchia il pentolone: «la moltiplicazione delle prestazioni [nota mia: molte delle quali fittizie, cioè non eseguite, o del tutto false, cioè a persone inesistenti, come verrà accertato dai magistrati] (tantissime a non handicappati, prevalentemente anziani, che complice la voluta inesistenza di servizi a loro dedicati, venivano affidati all’Aias in un regime di quasi monopolio del “mercato”) e il fitto intreccio di cariche in società parallele che intermediavano acquisti di forniture e investimenti a favore degli stessi dirigenti (sempre gli stessi) delle sezioni. Il tutto, naturalmente, attraverso la compiacente disattenzione delle Usl e dell’assessorato alla Sanità».
L’andare avanti dell’inchiesta comincia a fare vacillare le coperture intorno a quell’autentico carrozzone che è l’Aias di ….sì insoma quella che era allora il datore di lavoro di mia mamma. Difatti non c’era potentato locale grande o piccolo che non avesse fatto assumere qualcuno all’Aias.
Usl e assessorato regionale passano dalla complice connivenza alla completa intransigenza: i rubinetti vengono chiusi praticamente del tutto, noncuranti del fatto che non esiste alcun altro ente in grado di fornire un servizio sanitario equivalente (per la parte vera, intendo). Centinaia di pazienti vengono lasciati senza cure e i dipendenti senza stipendio per molti mesi.
Ma la fine non è subitanea, c’è bisogno di tempo per “alienare” il patrimonio ai giudici e ai creditori, quindi si mettono sù una serie di pantomime…..tavoli negoziali vengono chiamati dai pompieri sindacalisti – uno dei potentati di cui sopra.
Alla fine la struttura viene chiusa, i dipendenti perdono mesi di stipendio, buona parte di TFR e il loro lavoro (quelli che un lavoro lo facevano).
Ma non è finita: il danno e la beffa si presentano insieme!
Parte dei dipendenti, i terapisti, vengono indagati per truffa aggravata contro lo Stato. Il meccanismo truffaldino, difatti, consiste nell’aggiungere a posteriori le prestazioni fittizie e false a quelle realmente effettuate, e le firme in calce a questi documenti di rendicontazione mensile sono, per l’appunto, dei terapisti.
Alla fine dei processi le accuse ai terapisti sono cadute, ma i danni indelebili sono rimasti: anni di TFR volati via, uno stuolo di avvocati cinici come le peggiori iene a rosicchiare quel poco che i dipendenti riuscirono a salvare («ti facisti a machina nova? ma chi marca accattasti?»; «avistu quant’è bedda! Marca Aias!!!!» ridono compiaciuti), il marchio di infamia di avere lavorato all’Aias impresso sulla pelle, l’impossibilità di riprendersi una vita normale, la spasmodica ricerca di un altro mezzo di sostentamento fino alla ciliegina che porta con sè il dono che non dimentichi finché non muori: un salario da terapista in una nuova struttura di assistenza agli anziani ad anzianità zero, intorno ai 1000 euro ed una pensione che ora non arriva a 900.

Una piccola storia di un morto ammazzato dalla mafia che mi riporta a quella ancora più miserrima (ma meno tragica, ovviamente) di una oscura terapista che era mia madre, ora pensionata. Ma badate: non gli dò tanta importanza perché è parte della mia “piccola” storia, ma perché questo è ciò che la Sicilia offre alle sue genti, ai suoi sudditi….sì sudditi perché a farli cittadini non ci ha mai pensato nessuno, spesso e volentieri neanche loro.

PS: il titolo del post è preso dal libro di Valeria Scafetta edito da L’ Unità (2006) “Ammazzate Beppe Alfano. Il caso del giornalista sconosciuto”.Il libro rievoca la vicenda dell’uccisione del professore di scuola media e corrispondente per “La Sicilia” assassinato dalla mafia l’8 gennaio 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina)

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PS2: oggi e domani si “celebra” il ventennale dall’ammazzatina, con una serie di manifestazioni a Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Questo il programma.

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