Da “A salario di merda, lavoro di merda” a “viva viva la deflazione”

Certo che fa impressione…..di primo acchitto….tumblr_n3f2ebId3X1r1ksyoo1_1280(fonte:Nonleggerlo.)

Abbatto i Muri su fb (lo consiglio vivamente, via blog, twitter, fc….come vi pare e piace, insomma) commenta:

Una volta L’Unità era così.
Oggi supportano politiche neoliberiste e osannano ministre piangenti e che mentre piangevano accreditavano neoliberismo.

neoliberalismo, dicesi di: “dottrina totalitaria che si applica alla società intera e non ammette critiche [ e che] in forza del suo dominio […..] ha profondamente corrotto la vita sociale, il tessuto delle relazioni tra le persone su cui le società si reggono; con i suoi errori ha condotto l’economia occidentale a una delle peggiori recessioni della sua storia; ha straordinariamente favorito la crescita delle disuguaglianze di reddito, di ricchezza e di potere”

A pensarci bene, c’è da stupirsi del proprio stupore.

Allora, come ora, l’Unità era organo ufficiale di un partito. Non badate agli assetti proprietari, ma alla capacità effettiva di governare in maniera rigida la linea editoriale: questo è ancora.
Allora lo era del Pci, ora lo è del Pd, o parte del Pd (per quelli a cui piace prendersi per i fondelli giocando con i puntini sulle i).

Il Pci aveva un paradigma di riferimento diverso da quello attuale, quest’ultimo non a caso spesso definito pensiero unico: si provi a distinguere la proposta politica Pd da quella di Forza Italia (in bocca al lupo ;-)).

Nel paradigma neo-liberista attuale, il salario è una variabile puramente economica; la sua determinazione dipende dalle condizioni del mercato e quindi dalla sua “sostenibilità” in termini di costo del lavoro; le condizioni di mercato sono trainate, secondo questa visione (miraggio, lo definirei meglio), dal lato dell’offerta.

Il salario, meglio il reddito del lavoro, ha perso il suo significato sociale. E’ semplicemente il corrispettivo di una prestazione lavorativa, il cui valore è determinato in maniera esogena, dall’uomo nero di questa storia, il Mercato.

“A salario di merda, lavoro di media” è un non-senso, un non-luogo quando si entra nelle storie raccontate dai neo-liberisti. Ma queste storie, questi miraggi sono oramai pane quotidiano, in una sorta di allucinazione collettiva.

Come si spiega altrimenti che possa essere considerato tollerabile proporre (e accettare, beninteso) salari mensili da meno di 500 euro. In una città come Roma, per esempio, ci affitti a stento un monolocale in zone periferiche.
Oppure: Partite Iva il cui compenso si aggira sulle 5 euro lorde per ora lavorata. Fin quando ci siamo potuti permettere una signora che ci dava una mano per le faccende di casa, per dire, la pagavamo 8 euro l’ora. Nette e al nero, su sua richiesta: perché il minimo contributivo le era garantito da altri lavori e pagare più contributi non le conveniva perché non ci sarà in molti casi una prestazione previdenziale corrispondente (visto il numero di anni che viene richiesto loro).

E’ la faccia più violenta di un mercato del lavoro che si sta sempre più imbarbarendo. E’ la parte a diritti zero, perché i diritti costano in questa storia. Anche quello a un salario decente, in nome dei diritti zero.
Ci sono fronti meno violenti, ma comunque disperanti.
C’è il blocco al 2009 delle retribuzioni lorde (quelle nette sono, ovviamente diminuite, viste le imposte crescenti nel periodo) dei dipendenti pubblici. E il blocco pluri-annuale del turn-over: stesso lordo, meno netto e più lavoro.
Ci sono le ristrutturazioni aziendali a meno salario e meno tutele. Le espulsioni per delocalizzazione tipo Omsa. Le proposte indecenti tipo Electrolux.
Si è definitivamente affermata la visione alla Marchionne. Il JobsAct ne rappresenta un altro tassello: una ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro.

Stando all’indice Ocse di flessibilizzazione del mercato del lavoro, siamo il paese che ha sperimentato il suo incremento più rilevante negli ultimi 20 anni. E ci attestiamo a livelli superiori rispetto al molti paesi europei. Eppure nessuno dei risultati che dovevano essere raggiunti via flessibilizzazione è stato conseguito.

Invece abbiamo sperimentato: produttività nulla e decrescente dei fattori produttivi e impoverimento generalizzato, ma con all’interno una massiccia redistribuzione dalle classi medie e basse verso quelle superiori. Ma chi lo fa notare, per esempio qui, non riesce a tirar fuori nessuno dall’allucinazione collettiva.
Ecco come siamo finiti da “A salario di merda, lavoro di merda” a “viva viva la deflazione”.

7 thoughts on “Da “A salario di merda, lavoro di merda” a “viva viva la deflazione”

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