Encomio autonomo

Questo è il testo dello “storico accordo” (detto da Camusso e Squinzi, non accertato se all’unisono) sulla rappresentanza, siglato dai sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil) e dalla Confindustria.
Lo si può leggere in modi diversi, anzi è già stato così. Senza la pretesa di essere esaustivo: Landini e la Fiom, Alleva lo elogiano o anche solo apprezzano. Cremaschi, Usb, Bertinotti il Forum Diritti Lavoro lo criticano. Quasi un gioco delle parti verrebbe da dire, ma sarebbe un volare rasoterra.

Si può anche fare esegesi del testo. Anzi, anche questo già si è fatto: tutti a spiegare come deve essere letto. Delle due l’una: o l’accordo è scritto male e quindi si presta a interpretazioni confliggenti (giusto questo conflitto è rimasto ad alcuni) oppure è scritto decentemente e quindi le divergenze sono pregiudiziali se non in mala fede. Però c’è dell’altro: i sostenitori dell’interpretazione benevola spesso si rifugiano nel “non può che essere interpretato così”. E allora suggerirei di risparmiare qualche energia dall’attività di esegesi per spenderla nella richiesta di una formulazione più chiara, che rifletta e descriva in modo chiaro soggetti, oggetti e azioni.

Un altro esercizio utile consiste anche nel ricordare le posizioni relative, in termini di forza contrattuale o debolezza, con cui i vari firmatari si sono seduti al tavolo.

Rinuncio all’esegesi, che di accordi scritti male, spesso consapevolmente male, che possono fare parlare di sé in termini positivi fintanto che la controparte, che resta sempre quella con il coltello dalla parte del manico, non ne dà l’interpretazione che a lei conviene di più ce ne sono a iosa, anche solo restringendo il campo agli ultimi 25 anni.

L’accordo, preso a sé stante, presenta più lati oscuri che avanzamenti, se il tema è quello della piena democrazia sindacale; e questa è una pre-condizione necessaria (ma non sufficiente) per potere ambire a regolare effettivamente la rappresentanza. La questione della esigibilità ex post, trattata in maniera superficiale, è sviluppata in senso unilaterale: per la parte datoriale. In questo, tocca dare ragione al tribuno Cremaschi. C’è poi la chicca del vincolo di mandato da parte dell’organizzazione: decade di diritto (?) l’eletto che lascia l’organizzazione nella cui lista è stato scelto. Questa cosa qui non è discutibile o opinabile, aggettivi che ho incontrato nei pezzi dei benevoli per descrivere il punto in questione. Non discutibile, né opinabile: è una porcata! Chiamare le cose con il proprio nome è un atto di ecologia del linguaggio; chi non lo fa, lo inquina.

Ma l’accordo è ben peggiore, perché non è decontestualizzato. Dichiara di mirare a dare applicazione a quello del 28 Giugno 2011 (a cui non si è neanche riusciti a dare un nome) ma in realtà fa il medesimo lavoro con altri due accordi confederali, del 22 Gennaio 2009 (per la riforma degli assetti contrattuali) e del 16 Novembre 2012 (su produttività e competitività). In questi due casi, viene sanata ex-post la loro mancata accettazione da parte della Cgil. Mica di poco conto la sostanza del combinato disposto dei 3 accordi (ora 4) più alcune disposizioni legislative (tipo la legge Sacconi): il contratto nazionale è ora più debole (e non era certo in salute prima; per il pubblico è ridiventato facoltativo); il secondo livello può derogare al primo e, per di più, in un far-west di regole.

Insomma: una blindatura al ribasso da parte confederale, ivi compresi i (sedicenti) distonici cgillieni. Per l’ennesima volta si dà via libera ai desiderata di controparte e si cerca rifugio nell’accreditamento presso di essa. E questo passa necessariamente per il rafforzamento dell’oligopolio nelle relazioni sindacali.

Ironia della sorte, questo avviene nei settori economici (il lavoro dipendente privato in aziende aderenti alla Confindustria) in cui più forte è la storia sindacale e il suo radicamento, come anche il suo potenziale rigenerativo. Come dire che, guardando verso quella direzione, dovremmo trovare il meglio del paesaggio sindacale confederale. L’ironia sta proprio qui: che probabilmente questo è il meglio di quel paesaggio. Se difatti volgiamo lo sguardo in direzione del lavoro pubblico, la desertificazione di proposte e di azioni è desolante. Il che è comunque ancora meglio di quel che viene fuori quando taluni fanno proposte sul lavoro autonomo: in questo documento di Acta in rete (associazione per la rappresentanza dei professionisti del terziario avanzato) si spiega per filo e per segno, o meglio: per metodo e per merito, perché non vogliono essere rappresentati dalla Cgil.

Il metodo: loro ci provano e noi paghiamo gli errori.
Da anni la CGIL ha deciso di occuparsi di noi, anche se la maggior parte di noi ne farebbe volentieri a meno. Per tanti motivi.

Il primo motivo è che la CGIL non ha capito e continua a non capire la nostra situazione, le nostre esigenze e i nostri problemi. Agisce con un percorso di sperimentazione, con un processo di prova-errore-tentativo di correzione dell’errore, che è deleterio, perché gli errori li paghiamo noi e i tentativi di correzione hanno un esito molto aleatorio. […]

E qui emerge un secondo motivo per cui non vogliamo essere rappresentati dalla CGIL (o dalle altre associazioni sindacali e di imprese). Per loro noi non siamo il target principale (per i sindacati vengono prima dipendenti e pensionati, per la CNA gli artigiani, per la Confcommercio i commercianti…), le loro priorità saranno sempre altre , le nostre questioni non hanno mai carattere di urgenza e non entrano nell’agenda politica. […]

Il terzo motivo per cui non vogliamo essere rappresentati dalla CGIL (né dagli altri sindacati e associazioni di categoria, come le associazioni di commercianti, artigiani etc) è che il loro improvviso interesse per la nostra categoria risponde principalmente all’esigenza di trovare nuovi mercati, di compensare la perdita di aderenti entro i loro target tradizionali. Le loro onerosissime strutture richiedono infatti il reperimento di nuove fonti di finanziamento. E dal momento che ormai è chiaro a tutti che con le quote di iscrizione dei professionisti gli introiti sono ben pochi, molte delle proposte mirano ad ottenere un ruolo nell’erogazione di servizi finanziati dallo Stato. Con la riproposizione di strumenti ampiamente sperimentati nel lavoro dipendente e dimostratisi largamente inefficienti, quali osservatori e sportelli unici informativi, promozione dei bilanci di competenze, oltre che con la formazione, che viene incentivata se svolta entro enti accreditati (solo in questo caso viene proposta la totale deducibilità dei costi). […]

Ce ne è abbastanza per chiunque non voglia essere tacciato di essere uno sprovveduto a sua insaputa. Deturnando il tormentone di Maurizio Ferrini (da Quelli della notte, di Arbore: il personaggio di Ferrini è, non a caso, un compagno della costiera romagnola)….io capisco ma non mi adeguo.

Quelli della notte – Maurizio Ferrini L’antenato di Bersani