Il problema siamo noi

cadavere-in-mareRT: “Nuova tragedia dell’immigrazione” nel motore di ricerca d’archivio degli articoli di Repubblica.it fa 1406 risultati.

C’è tutto lì. Veramente tutto. Il quotidiano dei progressisti italiani pensa, a ragione, di potere riciclare e riciclare e riciclare lo stesso titolo per rendere formale omaggio al diritto di cronaca, ben sapendo che l’ondata di pietismo e sbigottimento durerà 24h e qualche decina di lanci di agenzia sulle dichiarazioni ipocrite dei politici (gli altri giornali non sono certo meglio).
Ha ragione da vendere perché conosce il target del suo merdosissimo prodotto: noi.

cadeveri in saccaNoi non facciamo tanta distinzione fra quelli che finiscono morti, con o senza cadavere, o che restano vivi. Da settimane a Siracusa c’è un ambulatorio ambulante, un pullman riadattato, di #Emergency. E Emergency prova a informare sui casi che cura, sul suo sito, sui social network, dove può.

 Si leggono storie così:

Osman ha settantadue anni e arriva dalla Siria, dopo un estenuante viaggio in barca di undici giorni. È l’unica persona anziana del gruppo di #migranti con cui è sbarcato a #Siracusa.

Su quella barca c’erano tutta la sua famiglia e tutte le sue speranze. Ma da quella barca sono anche finite in mare le medicine salvavita necessarie per le sue patologie croniche. Veniamo a conoscenza della sua situazione durante il giro di “triage” infermieristico che facciamo tutti i giorni all’Umberto I, il centro dove vengono ospitate le persone che sbarcano: da due mesi lavoriamo lì vicino con un nostro ambulatorio mobile. Osman sta lì, steso su un lettino, in affanno respiratorio.

Lo portiamo sul Polibus, dove lo visitiamo e lo rassicuriamo. Ci siamo già attivati per procurargli i farmaci necessari.

— Laura, infermiera sul #Polibus di EMERGENCY a Siracusa

E anche:

Tibia, 7 anni, ha fatto il “viaggio della speranza” con la madre Teweka, incinta di cinque mesi. Il padre è rimasto in Eritrea per adesso, forse non avevano abbastanza soldi per pagare il viaggio di tutti e tre. Tibia e Teweka sono sbarcate a #Siracusa dopo un viaggio di quattro giorni dalla Libia. Durante il secondo giorno di traversata, una delle taniche di benzina di scorta ha preso fuoco e alcuni passeggeri sono rimasti ustionati. Il viaggio è durato altri due giorni. Arrivati al porto sono stati portati in ospedale, medicati, e poi trasferiti all’Umberto I, dove da due mesi offriamo assistenza sanitaria gratuita con il nostro Polibus.

Teweka arriva al Polibus con estrema fatica: ha una voluminosa fasciatura sui glutei e sulla coscia destra. Toglierle la fasciatura è uno strazio, piange disperata perché le garze sono attaccate all’ustione. Tibia aspetta chiacchierando con Kalid il mediatore culturale, ma le urla della madre arrivano ben oltre la sala d’attesa, non siamo in grado di proteggerla da questo.

Appena Tibia entra nell’ambulatorio, la mamma le solleva il vestitino: ha le stesse orribili lesioni della madre. Iniziamo a medicare anche lei, e anche lei urla e piange per ogni centimetro di garza che rimuoviamo dalla ferita. Le dico “Maffi muschila”, “nessun problema”, ma so di mentire.

Finita la medicazione diamo loro gli antibiotici necessari a combattere l’infezione. Tibia si siede di fronte a me e inizia a fare un disegno, una casa, un albero, il sole, una nuvola bianca, tre persone: i bambini, ovunque siano nati, qualunque sia il colore della loro pelle disegnano sempre una casa un albero il sole una nuvola bianca e delle persone… Sorrido, le indico la prima bimba che ha disegnato dicendo “Tibia?” e lei “La! Inti!”, “No! Tu!”.
Adesso il disegno è appeso al finestrino dell’ambulatorio.

— Daniela, medico sull’ambulatorio mobile di EMERGENCY a Siracusa

Siria, dove stavamo per andare a bombardare, Libia, dove siamo stati da poco. E ce ne sono da Iraq, Afganistan; tutti scenari di guerre che ci fanno sentire civili e progrediti, democratici. Tanti scappano da “altre” guerre, quelle cui non partecipiamo dall’alto ma solo con il portafogli ingrossato dalle armi cedute. E tanti altri vengono anche da posti non di guerra.

Noi non facciamo differenza: ce ne sbattiamo bellamente di tutti. Noi siamo indifferenti, siamo inumani. Noi ci giriamo dall’altra parte, a insultare un seccante lavavetri…in fondo se finiva in fondo al mare a noi non sarebbe mica andato male.

Noi aderiamo al moderno linguaggio politicamente corretto. Incuranti di quel che significa trasformare la clandestinità in reato, noi ci culliamo di nomi edulcorati come centri di permanenza temporanea o centri di accoglienza per fingere equilibrio, trascurando consapevolmente che abbiamo dato mandato di istituire dei campi di concentramento. E se protestano da reclusi, arrivando a ingoiare le molle delle reti dei letti o a dar fuoco agli arredi pur di sperare di fuggire, noi siamo capaci di biasimarli con la conta dei danni economici.

A noi non ce ne strafotte una beata minchia perché siamo tutti presi dai nostri problemi quotidiani….fingendo peraltro di non essere la causa primaria pure di quelli.

Noi siamo delle merde…..ma abbiamo scelto di rifletterci solo in specchi che restituiscono l’immagine di persone normali. Quelli che benpensano siamo noi!

Frankie Hi-Nrg: Quelli che benpensano