Stringiamci a coorte / Siam pronti alla morte / Il kazako chiamò

Calderoli fa l’ennesimo rutto, a dispetto del ministo Kyenge, e tutti a dargli corda. E’ dai primissimi anni ’90 che la Lega ha introdotto le dinamiche da osteria e da bettolaccia nel salotto buono della politica italiana, riscuotendo anche discreti successi di pubblico votante e di critici dell’arte politica (Berlusconi e D’alema su tutti), ed ogni volta tutti i consociati parlamentari a recitare dinanzi alla propria agenzia giornalistica di riferimento la battuta del “adesso, basta!!!”: Goldoni je n’avrebbe fatto ‘na pippa ai nostri politici.

Ho un attimo di scoramento: penso a quei poveri giornalisti, tanto precari quanto succubi della scuola italiana del cortigianesimo informativo, che devono fare “lavoro redazionale” e buttarsi su questo casetto. In poche parole: spremersi le meningi per buttare giù un numero di battute sufficiente a riempire lo spazio sul sito del giornale e magari le pagine due e tre dei quotidiani del giorno dopo.
Loro avrebbero voluto battere il caso del momento, il caso #Shalabayeva: riguarda l’espulsione illegale di Alma Shalabayeva e della figlia Alua, di 6 anni. Le due donne devono scontare la pena di essere rispettivamente moglie e figlia di Muktar Ablyazov, dissidente kazako, principale oppositore politico del presidente Nursultan Nazarbayev. Quest’ultimo è un potentissimo oligarca, il cui paese detiene il 60 per cento delle risorse minerarie – tra giacimenti di gas e petrolio – dell’intera Unione Sovietica che fu.
Una cosetta mica da ridere. Se a questi prodi giornalisti fosse lasciata libertà d’azione e di inchiesta setaccierebbero la storia e starebbero producendo gli approfondimenti necessari. Stiamo parlando di un altro degli oligarchi Putin style con cui il Berlusca aveva stretto intense relazioni, pubbliche e private. E anche di colui cui sta battendo i pezzi da mesi quel gran campione nazionale che è l’Eni, per aggiudicarsi alcune gare con in palio le concessioni per lo sfruttamento diretto dei giacimenti di gas.
Oppure si sarebbero buttati a fare luce sulla dinamica vera e propria dell’espulsione, preceduta a quanto pare da un “sequestro di stato”. Già, perché parrebbe che madre e figlia sia state “prese in consegna” (dalla questura di Roma e dalla Digos, con il prefetto consapevole) nottetempo tra il 28 e il 29 maggio, processate in direttissima da quattro distinti organi giudiziari e messe su un aereo il 31 maggio: e poi si dice che la giustizia non funziona…..Ha funzionato talmente bene che l’aereo su cui sono state caricate si mormora sia stato noleggiato dall’ambasciata kazaka a Roma prima che fosse decretata definitivamente l’espulsione: altro che precisione svizzera, quando si vuole le cose italiane le puoi pure prevedere.
L’epilogo al momento sta vivendo momenti di rara consapevole comicità. Il governo dell’andreottiano scalzo ha dichiarato illegittima l’espulsione: le due donne possono tornare in Italia…..sempre che le liberino dagli arresti domiciliari. I ministri competenti e i dirigenti ministeriali preposti si fingono tutti affetti da invalidità grave, ma temporanea. Torneranno alle normali funzionalità corporee non appena passata la buriana, che è cosa da poco dalle nostre parti: anche solo l’ennesimo rutto leghista serve lo scopo!

La morale è sempre la stessa, riassunta da Quit the Doner per Vice, in un articolo sul viaggio del Papa a Lampedusa, che è da leggere (sono andato off-topic).

Una cosa su cui il potere può fare da sempre affidamento è la capacità delle persone di sforzarsi per ritenerlo buono nonostante ogni evidenza contraria. È un principio di economia delle risorse: se ti accorgi che il potere non è buono allora devi fare qualcosa, protestare, compiere scelte di vita che ti esporranno all’ostracismo del corpo sociale, forse anche mettere a rischio la tua stessa incolumità, tutte cose che prendono un sacco di tempo e allora tanto valeva non fare l’abbonamento a SKY che già così lo guardi poco.

Ritenere il potere “buono” contro ogni evidenza contraria: l’elisir di lungo sonno. In fondo è solo l’ennesimo rospo da buttare giù; per farlo si deve alimentare la finzione che “sono cose che possono accadere”, altro cavallo di battaglia del luogocomunismo imperante. Quando il gioco si fa duro….., ma tanto da noi non è mai duro abbastanza (e no, non è una citazione del Bossi 1.0). Per funzionare è anche necessaria poca memoria. Altrimenti ci si ricorda di altri eventi e si cede alla tentazione di cercarne un filo rosso.

E’ di qualche giorno fa il “sequestro” dell’aereo presidenziale boliviano, con il presidente Evo Morales a bordo, fatto atterrare d’arbitrio a Vienna per la mancanza dei permessi di sorvolo da parte di Francia, Italia, Portogallo e Spagna. Su richiesta statunitense, non ci vuole un segugio. Apparentemente per impedire la fuga di Edward Snowden, la “gola profonda” del #Datagate.

Ma queste son quisquilie. Il caso Abum Omar è del 2003: un’operazione CIA a Milano, coaudivata dai servizi segreti italiani: questo egiziano viene sequestrato, portato alla base Nato di Aviano e spedito in Egitto, dove viene carcerato e torturato fino al 2007. Qui la scheda di Amnesty International sul ruolo italiano nel caso.
L’Italia avrebbe partecipato con un reparto di tutto rispetto: i numeri 1 e 2 del Sismi (servizio segreto militare), Nicolò Pollari e Gustavo Pignero, Marco Mancini e i capicentro Raffaele Ditroia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Ciorra. E Pio Pompa, ex Sismi. Il caso si interseca con gli scandali dell’archivio segreto di Via Nazionale e quello Telecom-Sismi.
Ma non vengono processati perché oppongono di non potere riferire alcun “segreto di Stato”, segreto confermato dai governi Prodi, Berlusconi e Monti (poi, una volta, con calma, facciamo il gioco della datazione vera delle larghe intese). Come non bastasse, bisogna ricordare che malgrado i giudici italiani abbiano fatto richiesta di estradizione per i cittadini americani (gli agenti) coinvolti, nessun Ministro della Giustizia ha mai trasmesso agli Stati Uniti quella richiesta, né è stato rimosso per questa omissione.

Mica siamo stati i soli, per quelli che… mal comune mezzo gaudio. Molte le olgettine europee che si sono prestate alle Extraordinary Rendition, prelevamenti e detenzioni illegali a tutti gli effetti se non fosse che erano i poliziotti del mondo ad esigere la prestazione. Una commissione di parlamentari europei, coordinata da Claudio Fava (allora nel PD, ora in Sel), ha redatto un report memorabile sui casi acclarati: 1.245 voli della CIA e uso della tortura nel trattamento dei detenuti (illegali, di nuovo).

A dirla tutta anche il non ottenere l’estradizione di cittadini americani dichiarati colpevoli è diventata una prassi governativa: basta ricordare i casi dell’uccisione di Nicola Calipari, durante la liberazione di Giuliana Sgrena e quella della strage del Cermis. Con il caso Abu Omar, il salto di qualità sta nel fatto che ora non si può più dire che siano gli Stati Uniti che non ce li danno, perché siamo noi che non li chiediamo loro.

Ma torniamo al filone principale. Andando a ritroso ci si imbatte anche in quel momento di altissimo orgoglio patriottico che è stato il caso Ocalan. Leader del PKK – Partito dei Lavoratori del Kurdistan, era un combattente per uno stato curdo indipendente dalla Turchia. Sbarca a Roma per chiedere asilo. Cosa che ottiene dai giudici italiani nell’ottobre 1999 (tra i suoi avvocati difensori c’era anche Giuliano Pisapia). Peccato che ai nostri non reggesse la pompa e, dopo 2 mesi di permanenza in Italia, lo avessero “convinto” già nel gennaio 1999 a trasferirsi in Kenya: quelli sì che sono stati di diritto seri, lo avranno incoraggiato. Fatto sta che il mese dopo Ocalan era già ospite delle galere turche, i cui servizi segreti erano stati cortesemente avvisati del nuovo domicilio.

Per dire che l’Italietta i compiti i casa li fa sempre, tutti e anche per benino. La crisi di Sigonella è stata un’eccezione alla meritata fama da maggiordomi.