I meritocratici con il CV degli altri

La meritocrazia è, letteralmente, il dominio del merito. Se c’è di mezzo il “dominio”, lo spazio che definisce cosa è merito e cosa no è soggetto ad interventi arbitrari, discrezionali da parte del dominus.

Eccone un esempio pratico: una lettera aperta in cui si fa assurgere l’impact factor a metro univoco di ordinamento meritocratico. [fonte: La voce.info]

“Riceviamo da un gruppo di accademici basati in università italiane ed estere l’espressione di perplessità sulla nomina del nuovo presidente dell’Istat, Giorgio Alleva. La lettera riconosce l’innovazione procedurale di dare pubblicità alle candidature, ma obbietta sul non uso di criteri riferiti al merito scientifico nella scelta della rosa da cui il Ministro ha effettuato la scelta. Forse l’intera procedura basata sulle manifestazioni di interesse che conducono alla individuazione di potenziali candidati senza nessuna soglia di sbarramento e senza nessuna predefinizione dei criteri di selezione si rivela inefficace nell’attrarre i migliori talenti, che preferiscono continuare nel loro lavoro di ricerca piuttosto che misurarsi con criteri selettivi che al meglio. appaiono opachi.”

Qui la lettera aperta e le firme.

Quindi? Ben poco da eccepire, se si accetta il metro indicato.
Forse è però il caso di fare un passettino in più, su argomentazioni e nomi per poi riprendere il filo della oggettività e neutralità del metro di giudizio e del suo dominio.

E’ una bella saldatura fra il mainstream dei bocconiani de LA Voce (mica una voce; proprio: LA Voce) e i pasdaran (mio giudizio, ma evidentemente soggettivo e non venduto come oggettivo e indiscutibile….mica poca la differenza) di NoisefromAmerika.

Molti dei secondi vengono dal fallimento del progetto di partito di Fare per Fermare il Declino: proprio quello di Oscar Giannino, il candidato premier che “la tecnologia nucleare a Fukushima ha superato la prova del nove come anche il candidato premier il cui CV andava benone, taroccato come era!!!!
In questo capoverso non presento un giudizio, si badi, ma un dato di fatto verificabile: basta controllare qui di quanto si sovrappongono la lista dei firmatari con le adesioni al movimento dei declinisti.
Ne faccio conseguire un giudizio soggettivo: sono baroni, non meno degli altri che pretendono di fustigare come compagni straccioni di merende. La differenza sta nella provenienza del tipo di potere che detengono: sono in prima persona o sono ammanicati con gli editor delle maggiori riviste specializzate in Economia Politica (o Economics); queste sono finanziate dalle Università americane in cui molti di loro lavorano o hanno lavorato; queste Università, a loro volta, derivano il proprio prestigio e la capacità di attrarre studenti facoltosi (perché le Università americane costano una cifra) dalla visibilità della classe docente che hanno a libro paga. Una circolarità di potere, da cui i nostri firmatari traggono la forza per fare assurgere l’impact factor a indicatore universale della qualità della ricerca svolta.

Questo vale per gli italo-amerikani, ma anche per gli italo-itagliani. Il modello universitario che propongono due dei firmatari (non tra i meno importanti) è esattamente quello americano: alte tasse universitarie e prestiti d’onore per chi non se le può permettere.
La tesi di partenza di Ichino e Terlizzese è che nell’attuale sistema italiano i poveri pagano l’università ai ricchi. Ne è nata una ricca polemica, non di tipo filosofico, ma sull’uso disivolto e arbitrario di dati fatto dai due, per dimostrare la veridicità della tesi. Fortunatamente, quindi, in alcuni ambiti la loro tesi è stata di fatto controvertita. Sfortunatamente però, molti di lor signori hanno accesso al pubblico dei grandi giornali come editorialisti (Giavazzi sul tema in questione, ad esempio) e quasi mai gli stessi “grandi” giornali ospitano repliche a loro avverse.
Conoscono bene, per sapienza e per interrelazioni più o meno interessate, il meccanismo di influenza dell’opinione pubblica: sono opinion-maker perché portatori di tesi collimanti con quelle dei gruppi di influenza e di potere.

Ovviamente, il loro progetto di condizionamento è ampio, come c’è bisogno che sia funzionalmente alla portata altrettanto ampia delle loro tesi.
Nella lettera si citano i criteri dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (Anvur) per identificare una soglia minima di qualità. Sono seri in fondo, no? Mica scrivono: vogliamo uno dei nostri; fanno invece riferimento ad un organismo terzo.
L’Anvur, come la Civit brunettiana e gli Organismi Interni di Valutazione della performance, sono creazioni delle recenti “riforme” del pubblico, dell’università e della ricerca pubblica, nate sull’onda precedente la spending review: quella dei fannulloni che nessuno controlla e valuta. Per una eterogenesi dei fini, solo apparente, l’Anvur potrebbe costare meno della metà, estendendo generosamente le prassi di altri paesi:

Applicando generosamente i compensi previsti in Francia per l’AERES, sarebbe possibile ridurre i costi del consiglio direttivo di ANVUR portandoli da € 1.281.000 a € 545.041 più che dimezzando i costi attuali e risparmiando ben € 735.959.

[articolo completo su ROARS qui]

Ma il punto fondamentale non è il risparmio di spesa.
E’ invece il fatto che il riferimento al sistema di valutazione dell’Anvur, che viene fatto passare come neutro e oggettivo, è lontanissimo dall’essere tale. Configura anzi un palese conflitti di interessi dei bottegai accademici.
Il consiglio direttivo dell’Anvur si avvale, per ciascuna area tematica, di commissioni che hanno il compito di stilare la lista di riviste le cui pubblicazioni vanno bene ed il loro ranking.
Per l’area 13, su Scienze economiche e statistiche, la commissione GEV13 è così composta. Segnalo che molti dei firmatari sono suoi componenti: Jappelli (che la presiede), Checchi, Del Boca, Dardanoni, Peracchi, Terlizzese.
GEV13 ha subito (non l’unica) molte critiche sulle liste di riviste incluse o meno e sul loro ranking: ancora ROARS su questo.

Ecco come funzionano i gruppi di pressione: si scrive una lettera aperta dove si afferma che non si procede secondo standard riconosciuti, dimenticando di ricordare che i firmatari sono gli estensori degli “standard riconosciuti”.
Il che non è un peccato veniale. Comporta invece che questa autoproclamata classe sacerdotale si arroghi, insieme al diritto di scegliere chi buttare giù dalla torre, anche quello di salvare ad ogni costo i propri adepti: ancora una volta il dominio del criterio di merito autoprodotto.
Difatti, nulla hanno avuto da ridire sul lavoro di Rogoff e Reinhart, dove si dimostrava empiricamente la bontà dell’austerità espansiva – il peggiore fra gli ossimori- con numeri truccati. Questo lavoro scientifico è stato considerato uno dei più influenti anche a livello politico: molti i casi in cui viene citato dalla Commissione europea e al Congresso americano, come ben evidenziato qui.
Il lavoro è stato pubblicato su AER, tra le top five delle riviste di Economics. AER non ha perso un briciolo di credibilità e di reputazione a seguito dello scandalo. Se ne può dedurre che la classe sacerdotale usa metodi politicamente scorretti per favorire le proprie tesi.
Anzi sono riusciti, quelli de La Voce, a ospitare un post dove si afferma che, a parte gli errori, il risultato rimane valido:

In conclusione, a noi pare che del paper di Reinhart e Rogoff resti più di quanto sia andato perso a causa della scoperta di qualche errore: un debito eccessivo comporta danni profondi e persistenti ai sistemi economici.
[Articolo completo qui]

La stessa cosa avevano fatto con l’errore di Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, poi ammesso da lui stesso.
Sulla base di queste stime sui moltiplicatori fiscali, la Troika aveva imposto il piano di rientro alla Grecia….i cui effetti taumaturgici sono evidenti!!!
Mutatis mutandis, molti dei firmatari sono stati tifosi sfegatati del “tecnico” Mario Monti, che sulla Grecia affermava perentoriamente: “il caso della Grecia è il più grande successo dell’Euro“.
Come lo sono stati, tifosi sfegatati, della Fornero e della sua riforma. Una economista-banchiera che, pur di fare sottostimare gli esodati all’Inps – operazione continuata anche dal Giovannini ex presidente Istat- chiudeva entrambi gli occhi dinanzi ai magheggi milionari di Mastrapasqua.
E lo sono ancora sul jobs act; perché lo sanno interpretare bene e sanno perfettamente che porterà una accelerazione nel processo di deflazione salariale per tutti, processo per cui il reddito nominale DIMINUISCE.
D’altronde poco da pochi giorni hanno calato un nuovo post, per spiegare urbi et orbi che la deflazione sui prezzi (in stretta relazione con quella salariale) non è poi così male. Keynes Blog ha risposto da par suo. Io, da formica impiegata, sulla deflazione avevo scritto un appunto.

Ecco chi sono gli economisti-sacerdoti: loro hanno studiato, loro pubblicano, loro scrivono ….anche se poi esprimono concetti che definire fregnacce è poco e riescono a rendersi ridicoli pure dinanzi ad un Briatore qualunque.
Ecco Luigi Zingales, novello comico a sua insaputa:

Ci sono un miliardo e quattro di cinesi e un miliardo di indiani che vogliono vedere Roma, Firenze e Venezia. Noi dobbiamo prepararci a questo. L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro enorme nel turismo. Dobbiamo prepararci per questo, non buttare via i soldi a fondo perduto
[Servizio Pubblico, 15 novembre 2012]

C’è già stata una prima risposta, alla lettera aperta. Non è che la prima per come la vedo io.